Autogrill

Nuovo racconto lungo.

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E il sorriso da fossette e denti
Era da pubblicita’
Come i visi alle pareti di quel piccolo autogrill
Mentre i sogni miei segreti
Li rombavano via i TIR

Era un autogrill piccolo e anonimo come tanti altri. Un distributore, dei cessi pubblici sempre abbastanza sporchi e un bar squallido e poco fornito. Stava su quella superstrada poco trafficata, vicino a nulla di significativo. Era fondamentalmente un posto un po’ triste ma a me per qualche motivo piaceva. Era la mia sosta abituale, quando mancavano non troppi chilometri a casa, per fare rifornimento, per un caffè, per una sosta nei bagni o per mangiare qualche panino stantio.

Quella estate, poi, ero sempre in giro in auto per lavoro, spesso fino a tarda sera e a casa non mi aspettava nessuno: mia moglie si era trasferita nella casa al mare con i bambini.

Non aveva nessuna attrattiva quell’autogrill, eccetto forse un grande spazio per parcheggiare i camion e un costo del carburante un po’ inferiore a quello di altre aree di sosta. Ed eccetto una ragazza che lavorava dietro al bancone.

L’avevo notata una sera ed ero rimasto diversi minuti imbambolato a guardarla. Era bella, bellissima secondo me. In qualche modo la sua bellezza stonava o forse per contrasto risaltava in quell’ambiente squallido. Non era una bellezza assoluta, che tutti notavano, secondo me. E poi lei non faceva nulla per metterla in risalto, non era particolarmente curata. L’impressione che mi dava era quella di una attrice di Hollywood, una delle più belle, truccata in maniera da risultare anonima per interpretare la parte di una cameriera di un autogrill.

Aveva probabilmente tra venti e trent’anni, forse più vicina ai venti e il suo viso mi aveva stregato. Non sembrava felice, era spesso imbronciata o più che altro pensierosa. D’altronde non stava facendo il lavoro dei suoi sogni, probabilmente. L’impressione che mi dava era che non fosse neanche consapevole della sua bellezza, del suo fascino.

Quando ordinavo qualcosa la osservavo meglio oltre il bancone. La divisa che portava nascondeva in gran parte il suo corpo ma lasciava intuire che avesse delle belle forme. La stoffa dei pantaloni veniva tesa da un bel culetto sodo e quella della camicia da un paio di seni abbondanti il giusto.

La sua presenza, spesso nel turno serale da quel che avevo intuito, mi fece diventare quotidiana la sosta all’autogrill. Non avevo con lei grandi interazioni, non sembrava dare molta confidenza ai clienti, ma mi limitavo ad osservarla nonostante avessi una gran voglia di corteggiarla. Ero però anche frenato dalla differenza di età. Avevo come minimo quindici anni più di lei. Non pensavo che lei potesse mai essere minimamente interessata ad uno come me.

Diventò il soggetto principale dei miei pensieri masturbatori. Quando arrivavo a casa, senza mia moglie nel letto, mi tiravo delle seghe e pensavo di scopare la ragazza dell’autogrill.

Una sera, verso mezzanotte che era l’orario in cui di solito finiva il turno, la vidi uscire dalla porta del bar e, diversamente da altre volte, non si diresse verso la sua piccola auto ma verso la zona dove erano parcheggiati alcuni camion. La cosa mi sorprese ed aspettai a mettere in moto, seguendola con lo sguardo. Sparì dietro un tir e la persi di vista. Aspettai a partire, ma lei non sembrava tornare. Passò circa un quarto d’ora, poi la vidi che ritornava verso le auto. Sul suo viso notai un sorriso che raramente le avevo visto mentre lavorava.

Ripensai spesso alla scena a cui avevo assistito. Non sapevo darmi spiegazioni che non implicassero una mia erezione al pensiero di cosa poteva essere successo in uno dei camion. Ma nello stesso tempo non capivo come potesse aver fatto una cosa simile.

Nei giorni successivi cercai di stare più attento ai suoi movimenti e poche sere dopo notai qualcosa che mi sembrò familiare, dovevo averlo già visto senza però farci caso. Vidi uno dei camionisti che si intratteneva un po’ più a lungo del normale a parlare con lei mentre era alla cassa. Lui sembrava impaziente e lei un po’ a disagio. Lo vidi pagare e vidi lei battere lo scontrino. Poi vidi lui che dal portafoglio tirava fuori un’altra banconota. Lei la prese in mano e sembrò aspettare qualcosa. Lui ne tirò fuori un’altra, scuotendo la testa. Notai che lei si intascò il denaro. Non batté nessun altro scontrino. Il camionista andò al bancone, si fece consegnare il cibo che aveva ordinato e si sedette a mangiarlo, tenendo gli occhi fissi sulla ragazza, come stavo peraltro facendo io da diversi minuti.

Aspettai la mezzanotte. Il camionista era già uscito dal bar da diverso tempo. Lei, puntuale, uscì dopo pochi minuti e di nuovo andò verso i camion invece che verso la sua auto. Quella volta scesi dall’auto e, a distanza, la seguii. Si guardò attorno tra i camion fino a quando uno accese per un attimo i fari. Lei si diresse quindi verso quello. Le venne aperta la portiera e lei salì nella cabina.

Mi misi a distanza, in modo da poter osservare senza essere visto. Un lampione illuminava fiocamente quel camion. Riuscivo a malapena a distinguere qualche ombra. Mi posizionai lateralmente, in modo che almeno riuscissi a scorgere una qualche silhouette tra un finestrino e l’altro. Per qualche minuto sembrò esserci solo il camionista. Vedevo solo il suo profilo che si muoveva leggermente. Poi vidi la figura di lei che si tirava su. Mi sembrò di capire che si tolse la maglietta e poi vidi i due profili uno contro l’altro con quello di lei che si muoveva su e giù.

Nel buio del piazzale mi tirai fuori il cazzo e mi segai immaginando il resto della scena che a malapena riuscivo a intravedere.

La conferma a quel sospetto, cioè che quella ragazza si faceva scopare apparentemente a pagamento da camionisti, rese la mia attrazione per lei ancora più morbosa di quanto già non fosse. Il contrasto tra la sua bellezza e il degrado che sembrava circondarla me la rese ancora più affascinante. L’idea che si facesse scopare da sconosciuti dentro ai loro camion me la fece apparire come un angelo corrotto che scendeva negli inferi.

Immaginai anche il passaparola fra i camionisti. Probabilmente si parlavano e si raccontavano di come ci fosse questa bella ragazza, in quell’autogrill sperduto, che per una manciata di euro ti allietava la serata con un pompino o una scopata per i più generosi.

Ripensai a quel sorriso che le avevo visto in faccia la prima sera che l’avevo colta sul fatto. Quell’espressione mi tranquillizzava e spaventava allo stesso momento. Faceva sembrare che quella sua attività collaterale non fosse a lei sgradita e questo escludeva scenari di sfruttamento e disperazione. Però che quella ragazza, quella bellissima ragazza, non fosse innocente come sembrava dava luogo a pensieri di perversione che non ero sicuro di voler scoperchiare.

Senti, senti io ti vorrei parlare…”,
Poi prendendo la sua mano sopra al banco
“Non so come cominciare…”

Si chiamava Giada. Una pietra preziosa in quell’ambiente triste. Lo pensai e glielo dissi anche. Sorrise. Instaurai con lei un rapporto. Cominciai a parlarle e ad ascoltarla anche se era di poche parole. Sembrò apprezzare la mia compagnia. Forse le sembravo rassicurante io, sempre in giacca e cravatta, rispetto agli altri uomini che le si rivolgevano.

Notai altri approcci da parte di un camionista. Ogni volta sentivo una gelosia che mi attanagliava ed una erezione che premeva contro i pantaloni.

Una sera mi fermai a parlare con lei mentre si fumava una sigaretta prima di salire in auto. Parlammo a lungo. Finalmente si aprì con me. Mi raccontò un po’ di cose. Mi disse che non amava il suo lavoro ma che al momento non aveva niente di meglio. Mi sembrò di capire che non fosse consapevole fino in fondo della sua bellezza e di come questa, giusto o sbagliato che fosse, l’avrebbe potuta aiutare nel trovare qualcosa di meglio. Mi sembrò una ragazza sola e spaventata.

Non ci provai quella sera stessa. Era troppo vulnerabile. Lo feci la sera dopo. Le chiesi se voleva venire a casa mia. Le dissi che mia moglie non c’era. Mi stupì solo fino a un certo punto la facilità con cui lei accettò. Fui felice che non mi chiese del denaro, non tanto perché non mi andava di pagare ma perché testimoniava che veniva con me perché in qualche modo mi trovava diverso dagli altri.

A casa non ci fu gran bisogno di dirsi altro. Giada sapeva benissimo per cosa l’avevo portata lì. Si dedicò subito a succhiarmi il cazzo, senza esitazioni e in modo un po’ meccanico.

Questo un po’ mi bloccò. Il mio cazzo non collaborò fino in fondo, non riusciva a diventare duro come avrei voluto. Lei si dispiacque ed io le dissi che non era colpa sua anche se in un certo senso lo era. Non avevo percepito in lei un vero desiderio di farlo. Mi era sembrato un gesto automatico, come quello che faceva sul camion con chiunque l’avesse pagata. Io la desideravo ma volevo sentire la sua di voglia, non la mia.

“Non farlo per me.” le dissi, “Facciamo qualcosa che piace a te.”

Lei mi guardò con aria interrogativa.

“Siediti lì.” mi disse poi indicando il divano.

Giada si spogliò, era bellissima completamente nuda. Il mio cazzo diede segni di risveglio. Lei venne poi sul divano mettendosi a cavalcioni e strusciandosi su di me. La posizione era la stessa che avevo intravisto nel camion. Evidentemente le piaceva così. Questo pensiero mi fece indurire. Lei con maestria mi infilò rapidamente il preservativo che io avevo preparato. Mi cavalcò impalandosi sul mio cazzo. Io la tenevo per la schiena e le premevo le tette contro la mia faccia. La sentii godere e questo fece godere anche me.

Dopo ci spostammo in camera da letto. Lei di fronte al letto si fermò.

“Qui dormi con tua moglie?” mi chiese. Sembrava incerta, titubante.

“Sì.”

“Ti piace tradire tua moglie?”

Io la guardai, sorpreso dalla domanda.

“Mi piaci tu.”

Finimmo sul letto e Giada mi fece un pompino in maniera diversa da prima. Sembrava farlo con più partecipazione e questo mi piacque. Dopo ci baciammo, il nostro amplesso era diventato più dolce rispetto a prima. Lei mi prese in mano il cazzo e se lo puntò all’ingresso della fica. Io la fermai.

“Aspetta, prendo un altro preservativo.”

“Tranquillo. Prendo la pillola e mi fido di te.”

Io mi bloccai, guardandola interdetto.

“Che c’è?” mi disse lei. “Tu non ti fidi di me?”

Non sapevo come dirglielo, senza offenderla, ma se questo era il suo approccio e se si faceva scopare da sconosciuti, no, non mi fidavo. Lei insistette e dovetti uscire da quella situazione.

“Ti ho visto. Ti ho visto con… i camionisti.” dissi sottovoce, con aria quasi colpevole.

Lei si staccò da me. Apparentemente offesa. Si girò e mi diede la schiena e si mise seduta sul letto, con le ginocchia al petto.

“Fanculo…” mormorò.

La abbracciai e lei si divincolò.

“Non ti sto giudicando.” le dissi rassicurante. “Solo che… sai…”

“Con loro lo uso sempre.” mi disse con tono secco.

Si alzò e tornò in salotto. Io la seguii. Cominciò a raccogliere i vestiti.

“Che fai?” le chiesi.

“Me ne vado.”

“Perché?”

“Perché se per te sono una puttana… me ne vado.”

La abbracciai. Lei provò a liberarsi ma non la lasciai andare. La baciai.

“Non ti giudico male per quello che fai. Anzi, ti dirò la verità che quando l’ho scoperto mi hai attirato ancora di più.”

“Perché?”

“Non lo so perché. Prima mi sembravi un angelo in quell’inferno di autogrill. Dopo ho capito che non eri del tutto pura e questo ti rendeva ancora più interessante. Prima eri solo bella. Dopo eri anche… un po’ perversa.”

Lei iniziò a piangere.

“Il mio ragazzo aveva bisogno di soldi…” cominciò a raccontare, “Una sera un camionista me ne offrì perché gli facessi un pompino. L’ho fatto e li ho presi e poi ho continuato. Quando ne ho fatti abbastanza li ho dati al mio ragazzo. Lui ha voluto sapere dove li avevo presi. Mi ha costretto a dirglielo. Mi ha picchiato. Poi si è preso i soldi e mi ha lasciato. Quella sera un camionista è venuto da me, mi ha detto che aveva sentito parlare della bella barista di quell’autogrill che faceva i pompini. Mi ha detto che mi dava più soldi se mi facevo anche scopare. Ho accettato e poi l’ho fatto ancora e ancora. Anche se non mi servivano più tutti quei soldi.”

“Perché non hai smesso?” le chiesi stringendola a me.

“Perché mi piaceva. Avevo un brivido ogni volta che mi davano i soldi e ogni volta che salivo nelle cabine dei camion.”

Non seppi cosa aggiungere. La stringevo a me e una parte del mio corpo reagì senza che potessi controllarla. Il mio cazzo diventò durissimo contro le sue belle chiappe. Mi vergognai di quella mia reazione e del fatto che lei non poteva non sentirla.

“Scusami.” le sussurrai.

“Ti eccita? Quello che ti ho detto ti eccita?” mi chiese lei sinceramente stupita.

“Sì, scusami, non posso farci niente.”

“Cosa ti eccita?”

“Non so… il modo in cui sei. Il fatto che ti piaccia scopare con sconosciuti per soldi. Ti rende ai miei occhi così… interessante. Sei così bella e hai dentro di te dei pensieri perversi.”

Si piegò in avanti staccandosi da me ed appoggiandosi al mobile. Si mise in posizione provocante e girò un po’ la testa per guardarmi.

“Allora scopami se ti eccito.” disse quasi freddamente.

A quel punto non potevo e non volevo resistere. La presi afferrandola per i fianchi e infilando dentro di lei il mio cazzo nudo. Giada assunse un atteggiamento molto passivo, capii che voleva farsi sbattere restando inerme nelle mie mani. Mi sfogai su di lei senza troppe remore.

“Dimmi che sono una puttana… dimmelo.” mormorava lei mentre si faceva scopare.

“Sei una puttana, sei una troia…”

“Cosa faresti se fossi la tua ragazza? Cosa faresti se la tua ragazza fosse una puttana?”

Mi provocava. Quelle parole facevano nascere in me pensieri perversi. Immaginavo la situazione e più pensavo che fosse vera e più mi eccitavo.

“Ti scoperei come ti scopando. Ti chiederei quanti te ne sei scopata stasera e mi farei raccontare.”

“Raccontare cosa?”

“Cosa hai fatto. Cosa ti è piaciuto. Se hai preferito farlo con uno di loro o con me.”

“Con te. Con te. Ma non vorresti punirmi? Non sono una pessima fidanzata per il fatto che faccio la puttana?”

La presi per le spalle e la spostai buttandola sul letto. Rimase con il culo in alto. Proprio come la volevo. Aprii il cassetto del comodino. Mi spruzzai sul cazzo il gel lubrificante. Poi salii sul letto con i piedi e piegando le ginocchia le puntai il cazzo all’ingresso delle sue viscere. Mi accorsi che si era irrigidita ma pochi istanti dopo rilassò i muscoli. Spinsi ed entrai nel suo culo stretto. Emise qualche mugolio forse più di dolore che di piacere ma poi capii che cominciò a godere della mia inculata.

“Questo quanto te lo fai pagare, troia?”

“Questo non lo faccio. Questo è solo per te.” rispose farfugliando.

La riaccompagnai alla sua auto all’autogrill soltanto il giorno dopo. Passò la notte dormendo insieme a me. Io poi andai al lavoro anche se rimasi tutto il giorno a pensare a cosa era successo e, soprattutto, a cosa volevo che succedesse da quel momento in avanti.

Non la vedi, non la tocchi,
Oggi la malinconia?
Non lasciamo che trabocchi
Vieni, andiamo, andiamo via…

In serata guidavo lungo la superstrada praticamente deserta. Attorno il buio, tutto uguale. Dentro l’auto una musica di un vecchio cantautore italiano cullava i miei pensieri, le mie indecisioni. Vidi il cartello che indicava l’autogrill, a 1500 metri. Mi misi nella corsia di destra, con il dito sulla leva della freccia. Se uscivo non sarei più tornato indietro. Se tiravo dritto avrei proseguito il mio viaggio, lungo una strada dritta e facile, rimpiangendo forse quella piena di curve e non segnata sulla cartina.

Quella sera non uscii. Per qualche giorno cercai di reprimere i miei istinti ed evitai di vedere Giada. Mi sentii uno stronzo a fare così. Avevamo scopato e poi mi ero eclissato. In realtà lo facevo come autodifesa. Mi resi conto che non ci eravamo neanche scambiati il numero di telefono. Io non sapevo come contattarla al di là di presentarmi all’autogrill. E in quei giorni la ritenni una fortuna.

Ma quella mia resistenza non durò neanche una settimana ed una sera misi la freccia e fermai l’auto di fronte all’ingresso del bar dell’autogrill. Entrai e subito non vidi Giada al bancone. Mi andai a sedere, rimasi lì un po’ in attesa che lei comparisse, ma non lo fece. Aspettai ancora, indeciso sul da farsi e poi presi coraggio. Andai dalla donna al bancone per chiedere informazioni. Mi resi conto che forse, se conosceva le abitudini della sua collega, sarei stato scambiato per un uomo che cercava Giada per pagarla per fare sesso. Mi vergognavo di ciò ma era più forte la spinta a scoprire dove fosse. E poi in fondo non avevo intenzioni tanto diverse, anzi forse ero solo più meschino degli altri nel cercare da lei la stessa cosa di tutti ma con la pretesa di non pagarla.

La donna mi guardò strano quando le feci la domanda. Forse sapeva o forse era solo insolito che un cliente chiedesse dove fosse una di loro. Mi rispose poi distrattamente accennando ad un cambio turno.

Tornai a casa. Quella sera mi masturbai a lungo pensando a Giada. Subito dopo aver sentito mia moglie e i bambini.

I giorni successivi mi fermai sempre all’autogrill e nessuna di quelle sere trovai Giada. Decisi allora di fare in modo un giorno di tornare prima a casa dal lavoro, sperando di passare in un momento in cui lei fosse lì. E fu così, a metà pomeriggio entrai nel bar e la vidi. Lei mi guardò con un’aria strana. Un misto di sollievo e di disagio.

“Ciao, a che ora stacchi.” le chiesi mentre ordinavo un caffè.

“Alle… alle 18, perché?”

“Ti va se… parliamo. Se facciamo… non so, decidiamo insieme cosa fare. Ti porto fuori a cena se vuoi… non lo so.” mi resi conto che non avevo un piano, ero andato lì solo per rivederla, ero andato lì perché volevo di nuovo fare sesso con lei ma non osai dirlo così apertamente.

Giada mi guardò in maniera sospettosa. Non aveva le idee chiare su di me, probabilmente ed era comprensibile. L’avevo sedotta e lusingata, poi ero sparito, avevo cercato di mostrarmi diverso dagli altri poi forse ero stato il peggiore di tutti.

“Ok…” mormorò. “Alle 18 e 30, però. Aspettami fuori.”

Non mi diede spiegazioni su quel ritardo, ma io non obiettai e feci come mi aveva detto.

Poco prima di quell’ora la vidi uscire. Ero appoggiato alla mia auto e le feci un cenno di saluto. Lei si guardò attorno nervosamente e venne velocemente verso di me. Sembrava non voler farsi notare. Salì subito nell’auto e poi controllò con lo sguardo verso l’autogrill. Ne uscì un uomo. Era un tipo sulla cinquantina dall’aspetto anonimo e vestito con una giacca dozzinale. Appena Giada lo vide si abbassò e si nascose alla vista. L’uomo venne verso di noi, passò davanti alla mia macchina e salì sulla sua parcheggiata poco lontano e poi se ne andò.

“Se ne è andato?” chiese lei.

“Sì. Chi era?” domandai curioso ma anche preoccupato.

“Andiamo?” disse lei senza rispondere e con un tono insistente.

“Dove vuoi andare?”

“Non so. Dove vuoi tu. Intanto andiamo.”

Partimmo e rimanemmo in silenzio. C’era un’atmosfera nervosa. Lei sembrava di cattivo umore. Io non osavo peggiorare la situazione, sentendomi già in colpa.

Appena usciti dalla superstrada Giada mi indicò un parcheggio semivuoto, eravamo nella zona industriale. Mi fermai. Lei si girò verso di me e con aria un po’ seccata mi disse:

“Ok. Vuoi scopare? Scopiamo.”

“No, Giada. Non così. Andiamo a casa mia se vuoi…”

“No. Se vuoi scopare scopiamo qui.” non ammetteva repliche.

A me non piaceva la piega che stava prendendo quell’incontro ma la voglia di scoparla era troppa e quindi acconsentii. Lei mi sbottono i pantaloni e chinò la testa per succhiarmelo, ma il mio sesso non rispose. Non si drizzò. Non ero eccitato.

“Che c’è?” chiese lei premurosa e affettuosa, sembrava essersi rilassata proprio nel momento in cui aveva cominciato.

“Scusami Giada. Non è colpa tua, ma così non riesco.”

Lei si tirò su, scocciata, e si mise a guardare fuori dal finestrino, un po’ imbronciata. Ci fu qualche istante di silenzio.

“Chi era quello?” chiesi io.

Non mi guardò e non mi rispose per diversi secondi. Poi parlò e lasciò uscire tutto.

“Era il responsabile dell’autogrill. È per colpa sua che ho cambiato il turno. Me lo ha imposto. Ha scoperto cosa facevo con i camionisti. Ha minacciato di denunciarmi e di licenziarmi…”

“Ma quello che fai fuori dall’orario di lavoro sono fatti tuoi.” intervenni in sua difesa.

“Sì, ma dice che ho adescato dentro al locale e mi farà causa se…” si interruppe, come se non riuscisse ad andare avanti.

“Ti obbliga ad andare con lui?” chiesi e lei annuì senza guardarmi in faccia.

“Faccio schifo…” mormorò dopo un po’.

“Non dire così, è lui che è uno stronzo ricattatore. Senti io posso aiutarti…”

“Non voglio il tuo aiuto, stanne fuori, lasciami perdere. Sono peggio di quello che credi.”

“Ma…”

“Torna dalla tua famiglia, non stare dietro a una come me. Sono solo una puttana.”

“A me piaci, Giada, io da te non voglio quello che vogliono tutti…”

“Appunto. Ti sbagli. Non rovinarti la vita dietro a una come me. Ho visto casa tua, sei sposato hai una bella vita. Io invece sono un disastro. So fare solo la puttana e non posso che trovarmi degli uomini stronzi.”

“Ma non è colpa tua se lui è uno stronzo che ti ricatta per fare sesso, e non è colpa tua se il tuo fidanzato era un bastardo e se quegli uomini vogliono pagarti per fare sesso. Tu non sei così, tu sei diversa…”

Si girò e mi fulminò con lo sguardo.

“Vuoi sapere come sono io? Vuoi la verità? Sei pronto a sentirla?” era infuriata e aveva le lacrime agli occhi. Io mi limitai a guardarla e lei riprese a parlare:

“Mi fa schifo il mio capo. È un uomo viscido, è un poveretto, è brutto ed è un bastardo ad approfittarsi di una ragazza. Ha un cazzetto che fa schifo e non lo sa neanche usare. Pensa solo a se stesso e non saprebbe farmi godere in nessun modo. Non gliene frega neanche di farmi godere e così io posso fare finta. Non far finta di godere come probabilmente fa sua moglie con lui. No, io non gli faccio sentire che ho degli orgasmi quando lui mi piega sulla scrivania del suo ufficio merdoso e infila il suo cazzetto nel mio culo perché la moglie non glielo dà e invece io che sono una troia mi faccio inculare senza problemi. Io godo quando fa così come godo quando sono nella cabina di un camion a succhiare un cazzo puzzolente perché io sono puttana dentro. Godo nel farmi degradare. Mi faccio schifo e più mi faccio schifo e più godo. Stai lontano da una come me. Torna dalla tua mogliettina. Magari lei finge gli orgasmi ma almeno non deve fingere di odiare la depravazione.”

Mi sputò fuori quelle parole come un fiume in piena. Urlava e piangeva. Io soffrii nel sentirla così disperata. Avrei voluto aiutarla. Avrei voluto dirle qualcosa. Avrei voluto stringerla ed amarla. Ma non feci nulla. Mi vergognai. Mi sentivo da schifo e mi sentivo uno schifo.

Forse avrei potuto dirle che non ero meglio degli altri uomini. Ero stronzo come gli altri. Ero un bastardo. Ma non ebbi il coraggio. Fui vigliacco nel non confessarle che nel sentirle dire quelle cose mi ero eccitato. A pensarla costretta alla sodomia nell’ufficio del capo il mio cazzo si era indurito. Avrei voluto assistere alla scena. Se lei era una puttana io ero peggio, ero uno che godeva del suo essere puttana.

Pianse e rimanemmo a lungo in silenzio dentro l’auto mentre fuori era diventato ormai buio e in giro non c’era più nessuno in quella zona lavorativa.

Giada si girò e avvicinò il suo viso. Mi baciò un bocca. Un bacio tenero. Mi tastò il cazzo con la mano e lo trovò duro. Salì su di me. Scopammo in modo dolce, lì in auto.

“Credo di amarti, Giada.” le sussurrai.

“Stai zitto. È solo il tuo cazzo che parla. Hai tutto il sangue lì. Non sai quello che dici.”

“Posso aiutarti. Posso… accettarti.” lo dissi e lo pensavo veramente. Non mi dava fastidio che lei fosse fatta così. Anzi la cosa mi eccitava anche se non potevo ammetterlo con me stesso e soprattutto con lei.

“Lasciami perdere. Non faccio per te. Non faccio per nessuno. Forse dovrei veramente mettermi a fare la puttana. La escort. Magari un giorno di questi mi licenzio e metto un annuncio.”

Io le venni dentro. Lo avevamo fatto di nuovo senza preservativo. Presi dal momento.

La riportai all’autogrill, perché prendesse la sua auto. Ci salutammo.

“Senti, io fra pochi giorni vado in vacanza. Con la mia famiglia. Ma poi torno. E dico sul serio. Io credo di amarti in qualche modo. A me piaci. Piaci come sei. Sei troppo cattiva con te stessa. Non c’è nulla di sbagliato in te.”

“Lasciami perdere. Torna dalla tua famiglia.” mi rispose con un sorriso affettuoso.

La guardai che andava verso la sua auto. Era proprio bella. Sprecata per quella vita. Avrebbe potuto fare quello che voleva e se avesse veramente fatto la escort sarebbe stata una delle più richieste in città. Ci salutammo con la mano mentre mi passava a fianco in auto.

“Quant’è?” chiesi, e la pagai
Le lasciai un nickel di mancia
Presi il resto
E me ne andai.

Io andai in vacanza ma tutti i giorni pensavo a Giada. Mentre scopavo mia moglie pensavo a lei e intanto cercavo di capire se mia moglie stesse fingendo gli orgasmi.

Mi resi conto che di Giada non avevo nessun contatto. Non ci eravamo di nuovo scambiati nessun numero. Per un certo verso fu un sollievo durante la vacanza perché altrimenti non avrei resistito dal sentirla in qualche modo e magari avrei rischiato di farmi beccare o cose del genere. Per un altro verso mi prese un po’ di panico. L’unico modo che avevo di contattarla era andare nell’autogrill e sperare di beccarla nel suo turno lavorativo. Questo mi rese nervoso e impaziente di tornare e rivederla. Fui scontroso negli ultimi giorni di vacanza. Litigai con mia moglie e questo mi fece pensare a cosa volessi veramente. Volevo veramente mandare all’aria la mia vita per quella ragazza? Oppure volevo veramente rinunciare alle sensazioni torbide ma vitali che mi provocava Giada in cambio di una vita tranquilla, normale e noiosa.

Non avevo deciso ancora nulla mentre sfrecciavo lungo la superstrada cercando di arrivare il prima possibile all’autogrill. Entrai e non c’era traccia di Giada. Era pomeriggio. Che avesse di nuovo cambiato turno? Magari il capo si era rassegnato e aveva smesso di abusare di lei.

Tornai il giorno dopo. Poi tornai in serata. E il giorno dopo ancora. Lei non c’era mai. Cominciai a disperare.

Una sera vidi un camionista che giocava ad una slot machine. Mi sembrava di averlo già visto. Secondo me era uno di quelli che avevo visto mentre dava dei soldi a lei e poi se la portava nel camion. Mi avvicinai a lui. Scambiai due parole e poi con discrezione gli feci una domanda.

“Senti, tu per caso conosci una ragazza che lavora qui e che, diciamo, sa essere carina con i clienti generosi?”

Lui si girò con sguardo torvo interrompendo le sue giocate.

“Chi cazzo sei tu?” mi chiese sospettoso.

“Nessuno, nessuno, calma. Ho solo sentito girare la voce che una delle bariste di questo autogrill… insomma… dai, ci siamo capiti.”

Sembrò rilassarsi e tranquillizzarsi. Poi sospirò.

“Sì. C’era una. Gran bella figa. Gran porcellina anche. Si lasciava fare di tutto. Magari contrattavi per un pompino ma poi dopo lei non si tirava indietro anche per fare altro. Proprio una troia.”

“E quando la trovo secondo te?”

“Eh, purtroppo ho capito che se ne è andata. Da poco.”

“E non sai dove?” chiesi mascherando la disperazione nella voce.

“No. Sarà andata a battere da qualche parte.” scoppiò in una risata. Io lo odiai in quel momento. Mi sentivo l’unico che la sapeva apprezzare per quello che lei veramente era. Gli altri la disprezzavano in quanto puttana. Io la amavo.

Chiesi ad un ragazzo che stava spazzando per terra. Mi confermò che Giada si era licenziata la settimana prima.

Non la vidi mai più. La sua ultima immagine era lei che mi sorrideva dall’auto. Ma in testa mi rimanevano anche tutte le altre istantanee del nostro rapporto. Sia le scopate che avevamo fatto sia i momenti in cui lei era al bar, i momenti in cui prendeva i soldi dai camionisti, i momenti in cui usciva e andava a incontrarne qualcuno. Il suo sorriso. I suoi occhi. La sua bellezza.

Ancora oggi sfoglio sempre in maniera trepidante gli annunci di escort. Spero sempre di trovarla, di riconoscere nelle foto patinate il suo corpo. E nello stesso tempo spero di non trovarla mai. Perché se la trovassi sarei di nuovo di fronte ad un bivio che non saprei affrontare. Non saprei se mettere la freccia e uscire o proseguire per la mia strada. E poi in fondo spero anche di non trovarla perché magari ha seguito anche lei un’altra strada, qualcosa che la rendesse più felice.

Mi fermo ancora ogni tanto all’autogrill. È sempre tutto uguale e se mi concentro vedo Giada di là dal bancone. Ha un ricciolo di capelli che le cade sul viso. Alza lo sguardo e incrocia il mio. Mi sorride. E a me viene il cazzo duro.

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